L’impresa responsabile con il bilancio di sostenibilità
Le tematiche sulla sostenibilità affrontate nel G20 e non solo, hanno innescato le condizioni ideali per un cambio di paradigma nel business d’impresa. Il bilancio di sostenibilità sarà una priorità difficilmente eludibile.
Qualcuno ha addirittura ipotizzato che questo sarà sempre più rilevante nella strategia d’impresa tanto quanto il bilancio di esercizio. Sarà veramente così? Facciamo prima un pò di chiarezza.
Tra obbligatorietà con il bilancio di sostenibilità
Il bilancio di sostenibilità è un documento aziendale redatto periodicamente che coinvolge tutti gli stakeholder sugli impegni che l’impresa ha assunto secondo predeterminati parametri ambientali, sociali e di governance (il noto framework ESG).
Il bilancio di sostenibilità è una forma di rendicontazione non finanziaria, ma non l’unica: esistono altri documenti come il bilancio d’impatto e altri di report integrati rivolti anche alle pubbliche amministrazioni. In questa sede, riteniamo opportuno concentrarci sul report o bilancio di sostenibilità.
Bilancio di sostenibilità: Sarà obbligatorio?
La storia degli investimenti ESG è iniziata nel gennaio 2004, quando l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan scrisse a oltre 50 amministratori delegati delle principali istituzioni finanziarie, invitandoli a partecipare a un’iniziativa congiunta sotto gli auspici del Global Compact delle Nazioni Unite, con il sostegno dell’International Finance Corporation (IFC).
L’obiettivo dell’iniziativa era integrare le politiche ESG nei mercati dei capitali. Un anno dopo, questa iniziativa ha prodotto un report intitolato “Who cares, wins”.
Il report affermava che l’inclusione di fattori ambientali, sociali e di governance nei mercati dei capitali comporta mercati più sostenibili e benefici di varia natura per la società civile. Queste iniziative hanno poi portato al lancio della Sustainable Stock Exchange Initiative (SSEI). George Kell, Chairman di Arabesque, stima che le imprese negli ultimi 10 anni abbiano investito circa 20 trilioni di dollari in AUM per le politiche ESG.
Il background giuridico nell’Unione Europea è costituito dalla direttiva 2014/95/UE (recepita nel Decreto Legislativo del 30 dicembre 2016, n. 254) che impone l’obbligatorietà per quelle aziende chiamate a redigere, una dichiarazione individuale, o consolidata nel caso siano società madri di un Gruppo di grandi dimensioni:
- Enti di Interesse Pubblico e che abbiano avuto in media, durante l’esercizio finanziario, un numero di dipendenti superiore a 500.
- alla data di chiusura del bilancio d’esercizio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali:
- totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 20 milioni di euro
- totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40 milioni di euro.
Le PMI al momento sono esonerate dalla rendicontazione, ma possono farlo su base volontaria. Il documento permetterà loro di apprendere e interiorizzare le best practices entro il 2026. Anno in cui si dovrebbe introdurre l’obbligatorietà anche per questa categoria d’impresa.
Il Bilancio di Sostenibilità per la gestione del rischio
La rendicontazione non finanziaria non è solo questione di CSR o di brand awareness, ma anche di risk assessment. Attraverso la raccolta e analisi dei dati inerenti alle tematiche ESG, l’impresa non solo può conoscere la natura dei rischi potenziali ed effettivi derivanti da ambiti considerati non finanziari, ma anche prevenire il loro impatto nel breve termine.
Le tematiche non finanziarie possono impattare pertanto in maniera considerevole sui risultati economico-finanziari dell’impresa, sulla sua competitività e sulla creazione di valore nel medio e nel lungo periodo. Tutti gli stakeholders inoltre sono sempre più sensibili alle tematiche non meramente finanziarie perché l’immagine del brand non è solo un prodotto o un servizio, ma un’identità sociale.
In tale prospettiva, la selezione e la rendicontazione delle giuste informazioni in grado di descrivere l’approccio aziendale alla sostenibilità, è vitale in termini di legittimazione sociale. Il bilancio di sostenibilità può generare importanti ritorni competitivi, traducibili, tra gli altri, in termini di differenziazione di prodotto/servizio e di fidelizzazione della clientela.
In sintesi, grazie alla rendicontazione non finanziaria è possibile monitorare rischi sociali, ambientali e reputazionali per:
- misurare la loro probabilità
- il relativo impatto
- le contromisure per mitigarli.
Il processo di self-assessment permette al decision maker e al top management di una PMI, di effettuare un’analisi interna rivolta a comprendere il grado di apertura verso la sostenibilità e le eventuali modalità per implementare un piano strategico di sostenibilità integrato al business.
Di seguito, si riporta un set guida dei principali indicatori di performance, nonché nella mappatura delle principali azioni e politiche praticate dall’impresa nel contesto della sostenibilità.
- Comprendere gli obiettivi ESG e i meccanismi di governance per integrarli nel quadro strategico-aziendale.
- Valutare gli obiettivi ESG dell’azienda, i propri rischi a confronto con quelli dei competitor per capire le tendenze del settore e del mercato di riferimento.
- Attuazione materiale: impegnarsi con i principali stakeholder, interni ed esterni per comprendere le priorità nelle strategie ESG e allinearsi con la strategia aziendale, definendo processi standard di misurazione e rendicontazione.
- Integrazione nella strategia: integrare gli obiettivi nella pianificazione strategica e d’impresa.
- Gestione dei dati e dei processi: valutare i processi di reporting e controlli in linea con le decisioni-quadro e le raccomandazioni dell’UE.
- Impostazione del target e allineamento con obiettivi di business per i temi ESG prioritari.
- Audit interno e garanzia esterna: integrare la sostenibilità all’interno del piano di audit. Valutare il tipo e il livello di garanzia esterna per soddisfare le aspettative degli stakeholder.
The land of confusion: Quali KPI?
Se vi è convergenza sull’opportunità delle politiche ESG, il problema è che non vi sono regole, processi univoci e omogenei concordati a livello internazionale. Ogni agenzia di rating ha i suoi criteri di giudizio.
La gestione del rischio si basa su evidenze storiche di insolvenza, mentre negli ESG non c’è ancora un saldo ancoraggio dei modelli economici.
L’ampia varietà di metriche, metodologie e approcci su cui si basa il framework ESG contribuisce a ottenere ancora risultati disparati. Il motivo è chiaro: i rating ESG spesso mancano di trasparenza nel loro calcolo e differiscono sostanzialmente anche nelle metriche da cui attingono come le metodologie utilizzate.
L’auspicio è che ci sia maggiore chiarezza trasparenza, standard internazionalmente condivisi per poter parlare ragionevolmente di rendicontazione non finanziaria in senso strategico.
L’unica certezza è la crescente centralità del dato nel business d’impresa: dal bilancio d’esercizio alla brand reputation, da un carattere meramente strategico ad una dimensione sempre più identitaria.